Ambr. G 32 sup. (gr. 390) [diktyon 42807]
Descrizione materiale. Il manoscritto Ambr. G 32 sup. è un codice cartaceo di formato in quarto, realizzato ai ff. 1-107 su carta orientale con filigrana (non distinguibile), ai ff. 108-123 su carta occidentale. Attualmente si presenta in una legatura moderna di restauro a imitazione di quella antica, con assi in legno e dorso in pelle. Il volume, infatti, è stato restaurato e oggi comprende tre fogli di guardia all’inizio e alla fine, oltre a 123 fogli numerati 1-123 a matita nell’angolo superiore esterno. Le dimensioni attuali del manoscritto sono di 184 × 128 mm.
Si tratta di un esemplare composito (cosiddetto “organizzato”), formato da tre distinte unità codicologiche, differenziate per datazione, struttura materiale e contenuto. Pur avendo circolato autonomamente in una fase iniziale, le tre unità furono riunite sotto la stessa coperta piuttosto presto, in epoca umanistica, secondo un criterio contenutistico volto a raccogliere in un unico volume testi poetici affini per genere e autori.
Contenuto. La prima unità, che occupa i fogli 1r-56r, risale al tardo XIII (o inizio XIV secolo); conserva i primi diciotto Idilli di Teocrito [famiglia Vaticana], con apparato scoliastico e glosse interlineari, seguiti da una breve selezione di epigrammi di diversa natura. La seconda unità, coeva alla prima (seconda parte della bibliografia), comprende i fogli 57-108 e contiene le Opere e giorni di Esiodo, seguita da due carmi attribuiti a Gregorio Nazianzeno. La terza e ultima unità, delimitata da una cesura evidente dopo il foglio 116, occupa i fogli 109-123 ed è databile al XV secolo; trasmette un unico testo: lo Scudo di Esiodo.
Breve storia del manoscritto.
Il manoscritto è composto da tre distinte unità codicologiche. Le prime due dovevano essere già riunite in pieno XIV secolo, quando, con ogni probabilità, furono acquistate a Costantinopoli dall’erudito greco Leonzio Pilato (m. 1365), amico di Petrarca e Boccaccio. A testimonianza del possesso, sul f. 107r – lasciato in bianco dal copista principale – si conservano alcuni «esercizi estemporanei di versificazione» in latino (Rollo 2005, 318), vergati da Leonzio nella sua caratteristica scrittura gotica cancelleresca. È plausibile che egli abbia portato con sé le due unità in Italia al termine del soggiorno a Costantinopoli; tuttavia, come noto, trovò la morte nel mar Adriatico durante il viaggio di ritorno. I suoi libri, però, si salvarono, secondo quanto riferito da Petrarca, e una volta giunti a Venezia furono verosimilmente acquistati da un collezionista o da un mercante, rimanendo nell’area veneto-lombarda. Qui passarono nelle mani di ellenisti attivi a Milano nella seconda metà del XV secolo: quali Filippo Feruffini (m. 1490), giurista e diplomatico legato alla famiglia Sforza di Milano; Giovanni Crastone (fl. XV2), monaco carmelitano di origine piacentina amico di Francesco Filelfo (1398-1481), attivo a Milano nel ventennio 1475-1495 insieme a Bonaccorso Pisano e, in seguito, a Giorgio Merula e Giorgio Galbiati, nel contesto della fiorente produzione tipografica greca di quegli anni; e Costantino Lascari (1434-1501), grammatico e umanista greco al servizio degli Sforza tra il 1476 e il 1491. La presenza di queste tre mani riconducibili all’ambiente milanese potrebbe suggerire che proprio a Milano, nel corso del Quattrocento, le tre unità possano essere state riunite sotto un’unica legatura, conferendo al manoscritto l’aspetto attuale. Vi sono svariate note di possesso nel codice: Φίλιππος ὁ Φερουφίνος φιλέλλην καὶ φιλολογος (sic) ἰδία χειρὶ ἔγραψεν (f. 107v); est Benedicti καὶ τὄν φίλὄν (sic) (f. 117r); ἀδελφὸς Ἰωάννης ὁ πλακεντῖνος καρμελίτης, φίλτατος τοῦ κυρίου Φιλίππου τοῦ Φερουφίνου (f. 123v). Queste indicazioni lasciano supporre che il codice sia stato donato da Feruffini a Crastone, copisti della terza unità. Lascari, invece, vergò interamente il f. 118r nella seconda unità, trascrivendo i primi 17 versi dello Scudo di Esiodo.
La riunificazione delle tre unità sembra dunque avvenuta su base tematica: tutte trasmettono testi poetici, e condividono una certa affinità nella scelta e nella presentazione dei contenuti.
Bibliografia: Martini ― Bassi 1906, 464-466 (per una descrizione del codice); Schultz 1910, 12-13 (per uno studio sugli scolii allo Scudo di Esiodo); Wendel 1914, x (per l’edizione degli scholia vetera); Sinclair 1932, L; Gow 1950, XXXVII (per una descrizione del codice); Pérez Martín 1992, 81 n. 60 (per l’ipotesi che il codice servì da fonte per il florilegio teocriteo nel Par. gr. 2298, ricopiato dal patriarca Gregorio II di Cipro e da alcuni suoi collaboratori); Westerink 1992, XXV (sul Poema 30, In maledicum insensatum di Michele Psello); Gallavotti 19933, 300 (breve descrizione del codice; edizione critica degli Idilli); Hicks 1993, 4; Corrales Pérez 1994, 43 (per uno studio filologico del codice in relazione allo Scutum esiodeo); Pérez Martín 1996, 84 (per una breve descrizione del codice, e per uno dei possessori, Filippo Feruffini); Martínez Manzano 1998, 38, 40, 78 (per Costantino Lascari possessore del codice); Rollo 2005, passim (per il legame del codice con Leonzio Pilato, e il suo approdo in Italia da Costantinopoli); Martano 2008, 563 n. 72 (sulla cosiddetta Parafrasi Anonima riportata nella III unità); De Groote 2012, XXXVI; Hernández Oñate 2019, 116 n. 28 (per l’epigramma Anth. Pal. 9.205 attribuito ad Artemidoro di Tarso, presente nei prolegomena del codice); Giacomelli 2021, 341 n. 111 (per la tradizione testuale dello scolio in Theocritum IV 7a [136, 13-20 Wendel]); Meliadò 2021, 63, 66 et passim (sulla tradizione degli scholia teocritei).