F 205 inf. (S.P.10/22-26; gr. 1019) + F 205# inf. (S.P.10/26c; gr. 1020)
Descrizione materiale del codice.
Il codice Ambr. F 205 inf. (S.P.10/22-26; gr. 1019), noto come Ilias picta Ambrosiana, comprende quanto resta – 58 miniature su 52 fogli sciolti – di un sontuoso testimone illustrato dell’Iliade, redatto su pergamena in un’elegante maiuscola che emula la più antica maiuscola rotonda, si ritiene tra la fine del V e l’inizio del VI sec. d. C. ad Alessandria d’Egitto. Quasi sempre le immagini hanno la stessa larghezza del testo del poema, che sopravvive, mutilo, sul retro, mentre l’altezza varia notevolmente, tra i 53 e i 155 mm. Si ipotizza che il testimone originario del poema possa aver avuto una dimensione di mm 326×288, con 25 righi di scrittura per pagina; le illustrazioni avrebbero potuto essere in totale 180-200, anche considerando che ciascuna di quelle superstiti rimanda a un numero limitato di versi. La dimensione delle immagini è irregolare. Quasi sempre, esse hanno la stessa larghezza del testo, mentre l’altezza varia notevolmente, tra i 53 mm della miniatura IV e i 140 mm della miniatura LI. Ancora maggiore era l’altezza della miniatura LIV che ora è di 155 mm ma è mutila della parte superiore. A quanto si può ricostruire, le immagini erano collocate o in testa o in fondo al rispettivo foglio con il testo greco e si può ipotizzare che siano state dipinte dopo che il testo dell’Iliade era già stato copiato. Ogni miniatura è incorniciata da una banda blu e, più all’esterno, da una banda rossa, tranne due (IV e XXXIII), che hanno la sola banda rossa.
Il testo tardoantico dell’Iliade sopravvive in parte sul retro delle miniature.
Nel XII secolo, nel sud Italia, presumibilmente in area calabro-sicula, le miniature ritagliate dal manoscritto tardoantico vennero incollate verticalmente su fogli cartacei (Chartae Ambrosianae; ne sopravvivono 38, di ca. mm 227 x 165) che accolgono hypotheseis e scoli redatti da due differenti mani: si tratta del ms. F 205# inf. (S.P.10/26c; gr. 1020), che ora costituisce un’unità separata rispetto alle immagini, dopo l’intervento ottocentesco di Angelo Mai.
Contenuto
- Il testo dell’Iliade, conservato in modo frammentario sul retro delle miniature per un totale di 788 versi, non consente, mutilo com’è, una valutazione completa che consenta di collocarlo adeguatamente nella storia del testo. Si può però constatare come la copia fosse caratterizzata da omissioni di versi: oltre alla mancanza di 8, 244 e 12, 432, appaiono significative quelle di 8, 6 e 14, 402. In questi due casi, il comportamento del testo ambrosiano coincide con quello del Venetus A. Il manoscritto fu annotato da più mani, databili la prima al VI/VII sec. e la seconda all’inizio del sec. X, responsabile, quest’ultima, anche dell’apposizione di spiriti, accenti punteggiatura e vari marginalia.
- I fogli cartacei medievali conservano un eterogeneo corredo di scolî delle famiglie D e h (di cui conservano la traccia più antica), insieme a estratti dalle Quaestiones Homericae di Porfirio. L’ordine dei materiali di commento non coincide con l’ordine dei versi del poema e presenta in modo irregolare i lemmi. Le carte contengono dieci hypotheseis omeriche che si trovano sempre in apertura di foglio: si tratta di quelle dei libri I, II, V, VI, VII, XV(con due argomenti diversi), XVI, XX e XXI. In due di esse ( I e II), il margine, sia pur rovinato, consente di vedere che ad esse è premesso il numero del canto in inchiostro rosso. L’hypothesis del primo canto è preceduta dalla dizione «Le storie di Omero del primo libro dell’Iliade». I fogli cartacei conservano anche due ampi estratti del Reso (vv. 856-884) e dell’Andromaca di Euripide (vv. 1-102).
- Le miniature, collocate verticalmente a fianco del paratesto, non solo lo accompagnano, ma riorientano la selezione e la disposizione dei materiali esegetici. Su di esse si leggono scoli e didascalie di mano medievale.
Breve storia del manoscritto
Dopo la redazione in età tardoantica e la rifunzionalizzazione delle immagini in età medievale, l’insieme di immagini e scoli, non ancora smembrato, entrò a far parte della ricca biblioteca dell’umanista Gian Vincenzo Pinelli (1535-1601), si ignora per quali tramiti. La biblioteca, una delle principali collezioni di manoscritti e libri a stampa della seconda metà del secolo XVI, fu acquistata dal cardinale Federico Borromeo (1564-1631) per la Veneranda biblioteca Ambrosiana e vi giunse nel 1609, contribuendo a costituire il suo fondo più antico. Dopo duecento anni in cui non suscitò apparentemente alcuna attenzione, le sorti del manoscritto cambiarono per opera di Angelo Mai (1782-1854). A partire dal 1810, Mai scollò le miniature dai fogli cartacei, sfascicolando il libretto e finendo per danneggiarne e distruggerne alcune componenti. Non ne lasciò, purtroppo, alcuna descrizione e prestò attenzione soprattutto alle miniature e al testo greco tardoantico, su cui è orientata la sua monumentale prima edizione.
Mai 1819 (editio princeps dell’Ilias picta, paratesti esclusi, ripubblicata in Mai 1835); Martini Bassi 1906, 1089 e Pasini 1997, XXXI-XXXII, n. 63 (descrizione del manoscritto e aggiornamento del catalogo con bibliografia); De Wit 1932 (scoli e didascalie medievali sulle immagini); Bianchi Bandinelli 1953 (ricostruzione complessiva del manoscritto tardoantico dell’Iliade e studio iconografico delle miniature); Bianchi Bandinelli 1973 e Cavallo 1973 (datazione e localizzazione della copia dal punto di vista iconografico e paleografico); Garzya 1986, part. XVI nt.1 (i versi del Reso contenuti nel paratesto, nel contesto dell’edizione critica); West 1998, XXXVIII e passim (elenco completo dei passi dell’Iliade conservati sul retro delle miniature); Palla 2001 (osservazioni sul testo sul retro delle miniature); Rodella 2003 e Nuovo 2004 (sul fondo Pinelli presso la Biblioteca Ambrosiana); Palla 2004 (studio paleografico sui fogli cartacei); Castelli 2013a (i versi del Reso e la relazione con la miniatura); Castelli 2013b (il paratesto sui fogli cartacei come testimone più antico degli scoli h); Castelli 2016 (presenza nel paratesto delle Quaestiones Homericae di Porfirio e relazione con le immagini); Castelli 2020 (i versi dell’Andromaca nel paratesto, la loro collocazione nella tradizione della tragedia, la relazione con le immagini).