Il codice più antico è uno dei cimeli più preziosi, e celebri, del ricco patrimonio librario della Veneranda Biblioteca Ambrosiana, e in generale una delle rare testimonianze, tra le più rimarchevoli e affascinanti, giunte a noi dalla fine della cosiddetta età tardo-antica: il ms. reca attualmente la segnatura F 205 inf., ma è comunemente noto come Ilias Picta,. Pur oggetto di copiosi studi interdisciplinari (filologia, paleografia, storia dell’arte…), soprattutto dal XIX secolo in avanti, resta ancora per molti aspetti un oggetto enigmatico: molte infatti sono le domande ancora prive di una risposta univoca, tra le quali, in primis, il luogo di allestimento, la datazione e, in parte, le sue vicissitudini. Si tratta di fatto di una reliquia di un codice in origine ben più ampio, verosimilmente allestito agli inizi del VI secolo, oggi totalmente smembrato: allo stato attuale consta di 52 ritagli con miniature di soggetto iliadico che sul verso hanno conservato frammenti del poema in una splendida maiuscola antica, che si rifà al canone della maiuscola rotonda, la cui acme si colloca nel I sec. d. C. Il luogo di allestimento – secondo le ultime ipotesi di Guglielmo Cavallo – sarebbe Alessandria d’Egitto (vedi dettagli in scheda). Il paratesto esegetico originario in questo caso è costituito dal ricco apparato iconografico: si è calcolato che le miniature originarie dovevano essere circa duecento, e il manoscritto doveva contenere il testo completo dell’Iliade, in una facies sontuosa e probabilmente rara anche per l’epoca dell’allestimento. Ma il codice ebbe una vita intensa e fu oggetto di una modalità di lettura singolare: smembrato e ritagliato in un periodo ancora imprecisato, esso fu riutilizzato in area italo-greca nel XII secolo, in un qualche centro scrittorio della Calabria, dove fu ‘ridotto’ a manualetto scolastico: in questa fase le miniature furono corredate di didascalie in inchiostro rosso, si apposero margini ‘avventizi’ cartacei in cui furono trascritti sostanzialmente scolii della cosiddetta classe D, in una disposizione apparentemente bizzarra, ma funzionale all’uso e alla pratica didattica (vd. dettagli in scheda; vd. tavole).

Gli scholia D e l’Italia meridionale del XII secolo ci traghettano, in uno dei possibili percorsi di questa mostra, verso altri due manufatti omerici: approdiamo nella seconda metà del XIII secolo nelle due aree grecofone più fervide culturalmente dell’epoca, la capitale dell’Impero romano d’Oriente, Costantinopoli, (A 181 sup.) e la Terra d’Otranto (L 116 sup.). Una nuova fase di ‘rinascenza’ (vd. supra) caratterizzò Costantinopoli e pochi altri centri dell’Oriente greco (in particolare Tessalonica, l’odierna Salonicco), in questo caso circoscritta alla produzione intellettuale, dal momento che sul piano politico-miliare l’Impero bizantino, ormai ridotto geograficamente entro angusti confini, covava già in sé le debolezze che lo condurranno alla caduta del 1453: è la cosiddetta ‘Rinascenza Paleologa’, dal nome della dinastia regnante. Nel contempo, la Puglia meridionale – in costante dialogo con i centri più importanti dell’Impero romano d’Oriente, fu protagonista dell’ultima stagione di resistenza ‘identitaria’ opposta dalle comunità di lingua e rito greco in Italia alla progressiva latinizzazione religiosa, culturale e linguistica. In Terra d’Otranto nell’arco di meno di due secoli si ebbe un’intensa attività scolastica ed erudita applicata a testi classici profani. I due manoscritti in mostra tramandano il testo dell’Iliade corredato all’incirca dalla medesima categoria di scolii, ma l’esecuzione grafica e la disposizione del materiale è molto differente.

Del codice costantinopolitano si può apprezzare l’elegante mise en page: il testo omerico, disposto su due colonne, è ‘circondato’ da scolii ‘a cornice’, o in Kranzform, molto fitti soprattutto nei primi libri, ma disposti sempre con equilibrio di spazi, e regolarità di modulo. Nel codice salentino, invece, il testo dell’Iliade è affiancato dalla Parafrasi e la gran parte del materiale esegetico è disposto alla fine di ciascun canto (a recueil), laddove a margine del testo omerico o nell’interlinea furono vergate principalmente brevi note glossografiche: si noti, inoltre, l’esuberanza ‘barocca’ della scrittura, secondo una moda grafica tipica nel Salento greco del XIII secolo, e la vivacità cromatica della decorazione.