La famiglia Ambrosiana nella tradizione degli Idilli di Teocrito

Il manoscritto Ambr. C 222 inf., identificato dal siglum K, appartiene alla cosiddetta “famiglia Ambrosiana” o “series Ambrosiana” (siglum Ka), di cui costituisce l’unico testimone. Si tratta di una delle tre principali linee di trasmissione della tradizione testuale di Teocrito, accanto alla famiglia Vaticana e a quella Laurenziana. Tale classificazione riguarda in primo luogo il testo poetico degli Idilli, secondo la ricostruzione di Gallavotti (19933, 297-299), ma si riflette, con modalità autonome, anche nella trasmissione dell’apparato scoliastico, come illustrato da Wendel (1914, VI-VIII). Per quanto riguarda gli scolii, l’apografo diretto di K è l’Ambr. A 155 sup. (gr. 52) [diktyon 42242], della fine del XV secolo, dal quale dipende a sua volta il Vat. Barb. gr. 214 [diktyon 64760] (cfr. Wendel 1914, VII-VIII).

Il codice ambrosiano, a differenza degli esemplari della famiglia Vaticana, come l’Ambr. G 32 sup., conserva (ai ff. 339r-362v) le seguenti opere di Teocrito, in questo ordine: gli Idilli I, VII, III-VI, VIII-XIII, II, XIV, XV, XVII, XVI, XXIX, gli Epigrammi 1-22, e i due carmina Alae e Securis. Per quanto riguarda il testo, il pregio di questo codice risiede soprattutto in alcune lezioni eccellenti che esso solo ha conservato. Spesso, infatti, K concorda con il papiro Pa (P. Ant. + P. Ant. 207, cfr. Gallavotti 19933) su letture corrette, laddove altri manoscritti tramandano forme corrotte. Non mancano tuttavia errori del tutto singolari, che K trasmette da solo. Secondo gli studi di Gallavotti, alcuni errori che compaiono nel codice possono essere spiegati con il passaggio da un modello scritto in maiuscola a uno in minuscola, fase in cui erano frequenti confusioni dovute alla somiglianza delle lettere o alla diversa gestione degli spazi. Questo dato gli ha consentito di ipotizzare che la recensione del testo tramandata dal codice K fosse già stata fissata in una forma stabile nei secoli IX o X, cioè proprio in quel periodo di transizione fra i due tipi di scrittura.

Per quanto riguarda gli scolii, la famiglia Ambrosiana tramanda gli scholia vetera (che sono pervenuti solo per gli Idilli 1-18, 28-29), presenti nel codice K e nei suoi apografi. Gli scholia vetera tramandati dalla famiglia ambrosiana (vale a dire essenzialmente da K) costituiscono la redazione più valida rispetto a quelle conservate dalle altre due linee della tradizione (Gow 20082, LXXXI). Non tutte le annotazioni di K appartengono tuttavia a tale tradizione: alcune aggiunte e integrazioni mostrano che i copisti (soprattutto Costantino nel corso di tutto il codice) intervennero durante la trascrizione per completare o correggere il testo attingendo ad altro materiale (cfr. infra).

 

Aspetti filologici del testo teocriteo tramandato dall’Ambr. C 222 inf.

Costantino, copista e proprietario del codice nonché artefice della cosiddetta “raccolta ambrosiana”, appartiene alla generazione di studiosi immediatamente successiva a quella di Eustazio. Fu in contatto diretto con Giovanni Tzetzes (ca. 1110-1180), altro eminente filologo dell’epoca e autore di commenti alla poesia epica e tragica, e gravitava attorno al vivace ambiente culturale della scuola annessa alla chiesa dei Santi Apostoli, nei pressi del monastero del Pantokrator.

Al f. 339r dell’Ambr. C 222 inf. Costantino annota: σημείωσαι ὅτι ὁ τοιοῦτος Θεόκριτος, ὠρθώθη μετὰ τοῦ βαϊούλου τοῦ Καλαβροῦ βιβλίου· τοῦ σχολάζοντος εἰς τὸν Ψελλόν («Nota che tale Teocrito fu corretto col libro del pedagogo Calabro, l’allievo di Psello»; traduzione di Mazzucchi 2004, 433). Questa annotazione costituisce un prezioso punto di osservazione sulla circolazione dei testi teocritei in età Comnena e sulle pratiche di trascrizione e correzione in ambienti scolastici di prestigio. La menzione di un allievo della scuola di Psello suggerisce che la trasmissione del testo non fosse confinata a semplici copie manoscritte, ma implicasse anche interventi di maestri e discepoli, capaci di introdurre correzioni o integrazioni basate su codici autorevoli o raccolte esegetiche.

La formulazione della nota (ὠρθώθη) genera però un’ambiguità di fondo: non è chiaro se Costantino intenda affermare di aver personalmente corretto il testo sulla base del libro del Calabro o se abbia trovato già apportate tali correzioni nell’antigrafo. Analogamente, il riferimento al “Calabro” — così come altrove a Trichas per le Olimpiche — potrebbe indicare il possesso del codice da parte del maestro, un’edizione curata da lui o ancora un commentario utilizzato come guida. In ogni caso, la nota testimonia la complessità della trasmissione: anche rami apparentemente isolati della tradizione, come quello rappresentato dall’Ambr. C 222 inf., furono soggetti a interventi mirati, correzioni e possibili contaminazioni già in età Comnena (cfr. Gallavotti 1993³, 298).

In relazione a quanto osservato nel primo paragrafo sul pregio testuale del codice — con lezioni corrette in concordanza con il papiro Pa e peculiarità proprie — la nota di Costantino conferma che la stabilizzazione della recensione non fu un processo passivo: il codice riflette un equilibrio tra conservazione di letture antiche e aggiornamenti puntuali operati da studiosi e copisti, i quali intervenivano sia per rettificare eventuali errori sia per integrare il testo con materiali di tradizione colta. Tale dinamica risulta ancor più significativa se si considera il legame del manoscritto e del suo copista con l’ambiente colto di Giovanni Tzetzes. In questo senso, Ambr. C 222 inf. non è solo un testimone di una “famiglia” testuale, ma anche una testimonianza viva delle pratiche intellettuali bizantine.