Prima unità codicologica (XIIIex-XIVin, origine orientale, ff. 1-56)

Datazione e origine. Gli studiosi concordano nel ritenere che questa sezione del manoscritto sia stata realizzata in area orientale, verso la fine del XIII secolo o agli inizi del XIV. In particolare, Pérez Martín ne ipotizza una produzione a Costantinopoli, suggerendo che la sezione con gli Idilli di Teocrito dell’Ambr. G 32 sup. sia stata utilizzata come fonte per un’antologia teocritea trasmessa da un altro manoscritto, il Par. gr. 2998 [diktyon 52642], copiato proprio a Costantinopoli dal patriarca Gregorio II di Cipro (1241–1290) insieme ad alcuni suoi collaboratori. Il codice parigino presenta la cosiddetta “prima variante” della scrittura di Gregorio, che permette di collocare la sua redazione entro il terzo quarto del XIII secolo. Se effettivamente il manoscritto Ambrosiano è stato impiegato come modello per il Par. gr. 2998, allora almeno questa sua unità doveva essere già disponibile entro quella data. Tuttavia, la scrittura dell’anonimo copista che ha trascritto gli Idilli appare leggermente più tarda e sembrerebbe meglio adattarsi a una datazione verso la fine del secolo. Non si può però escludere che il codice sia stato copiato anche uno o due decenni prima, e che una sua parte sia effettivamente servita da fonte al patriarca Gregorio per la compilazione di una sezione della sua antologia.

Descrizione esterna. Questa unità del manoscritto è composta da sette fascicoli regolari, tutti quaternioni, per un totale di 56 fogli, di cui è rimasto bianco il f. 56v. I fascicoli sono realizzati su carta orientale, con filigrana non distinguibile; il formato è in-quarto (184 × 128 mm). La rigatura è a secco, mentre la foratura non è più visibile, probabilmente rifilata durante le operazioni di rilegatura del codice.

La disposizione del testo, vergato in inchiostro marrone, è a tutta pagina, con l’apparato scoliastico distribuito a cornice lungo i margini superiore, esterno e inferiore, mentre glosse interlineari in inchiostro marrone e carminio accompagnano il testo principale. Dimensioni dettagliate dell’intero specchio di  scrittura sono: mm 2 (24) [87] (55) 16 × 10 [82] (20) 16 (foglio di rilevamento f. 15r).

All’interno del manoscritto si conservano diverse tracce di segnature, appartenenti a mani e tempi differenti. 1) In primo luogo, sono visibili numeri cardinali greci posti al centro del margine inferiore di alcuni fogli: si tratta di indicazioni di fascicolo, tracciate in inchiostro marrone, probabilmente dalla stessa mano del copista principale. La segnatura δ (4) si conserva, sebbene parzialmente rifilata, al centro del margine inferiore del f. 24r; seguono ε (5) al f. 33r, ϛ (6) sia al f. 40r sia, ripetuto, al termine del fascicolo al f. 48v, e infine ζ (7) al f. 49r. 2) Accanto a queste segnature più antiche, si osservano anche lettere minuscole latine tracciate in inchiostro ocra nell’angolo inferiore esterno di alcuni fogli. Queste segnature, forse opera di Leonzio Pilato che possedette il codice nel corso del Trecento, seguono una progressione alfabetica corrispondente ai numerali greci della prima fascicolazione antica: d (f. 24r), e (f. 33r), f (f. 40r), g (f. 49r). 3) Infine, al f. 1r, sempre nell’angolo inferiore esterno, si osserva una segnatura in numeri arabi, il numero “4” tracciato in inchiostro ocra. Questo segno, dal significato incerto, è stato probabilmente apposto in un momento successivo all’assemblaggio delle tre unità ed è da attribuire, con ogni probabilità, a uno dei possessori del manoscritto ambrosiano nel corso del XV secolo.

Il testo è opera di un unico copista anonimo, la cui scrittura può essere riconducibile all’alveo delle cosiddette scritture “planudee”: grafie individuali di ambiente erudito, caratteristiche della “rinascenza paleologa”, caratterizzate da ductus tendenzialmente rapido, modulo rotondeggiante e dimensioni contenute. Si osservano inoltre alcune influenze della cosiddetta Fettaugen-Mode, riconoscibili nel lieve contrasto tra lettere grandi (specialmente, beta, gamma, kappa, omega) e lettere minute, elemento tipico di molte scritture dotte di epoca tardo-bizantina.

La decorazione, attribuibile al medesimo copista del testo, è semplice e realizzata in inchiostro carminio: iniziali maggiori semplici; fregi a intreccio bicolore (in carminio e marrone) a introduzione degli Idilli II (f. 8r), III (f. 14r), VI (f. 25r), VII (f. 27r); fregio a intreccio monocromatico in marrone a introduzione degli Idilli VIII (f. 33r), IX (f. 35r), X (f. 36v), XI (f. 38v), XII (f. 40v), XIII (f. 41v), XIV (f. 43v), XV (f. 46r), XVI (f. 49v), XVII (f. 52r), XVIII (f. 54v); fregi semplici per gli Idilli IV (f. 16v) e V (f. 19v). Anche le glosse interlineari copiate dal copista anonimo sono vergate in inchiostro carminio, così come i numerali greci di rinvio ai lemmi dell’apparato scoliastico vergato a margine.

La legatura è moderna di restauro, a imitazione di quella antica; presenta assi in legno visibili e dorso in pelle. L’unghiatura è pronunciata e la cuffia superiore sporge oltre il capitello. Sul dorso si trovano due etichette moderne: una, incorniciata in blu con il numero “390”, collocata nella parte superiore; l’altra, più in basso, reca il numero “32” tracciato in inchiostro nero.