Il manoscritto è composto da tre distinte unità codicologiche. Le prime due dovevano essere già riunite in pieno XIV secolo, quando, con ogni probabilità, furono acquistate a Costantinopoli dall’erudito greco Leonzio Pilato (m. 1365), amico di Petrarca e Boccaccio. A testimonianza del possesso, sul f. 107r – lasciato in bianco dal copista principale – si conservano alcuni «esercizi estemporanei di versificazione» in latino (Rollo 2005, p. 318), vergati da Leonzio nella sua caratteristica scrittura gotica cancelleresca. È plausibile che egli abbia portato con sé le due unità in Italia al termine del soggiorno a Costantinopoli; tuttavia, come noto, trovò la morte nel mar Adriatico durante il viaggio di ritorno. I suoi libri, però, si salvarono, secondo quanto riferito da Petrarca, e una volta giunti a Venezia furono verosimilmente acquistati da un collezionista o da un mercante, rimanendo nell’area veneto-lombarda. Qui passarono nelle mani di ellenisti attivi a Milano nella seconda metà del XV secolo: quali Filippo Feruffini (m. 1490), giurista e diplomatico legato alla famiglia Sforza di Milano; Giovanni Crastone (fl. XV2), monaco carmelitano di origine piacentina amico di Francesco Filelfo (1398-1481), attivo a Milano nel ventennio 1475-1495 insieme a Bonaccorso Pisano e, in seguito, a Giorgio Merula e Giorgio Galbiati, nel contesto della fiorente produzione tipografica greca di quegli anni; e Costantino Lascari (1434-1501), grammatico e umanista greco al servizio degli Sforza tra il 1476 e il 1491. La presenza di queste tre mani riconducibili all’ambiente milanese potrebbe suggerire che proprio a Milano, nel corso del Quattrocento, le tre unità possano essere state riunite sotto un’unica legatura, conferendo al manoscritto l’aspetto attuale. Vi sono svariate note di possesso nel codice: Φίλιππος ὁ Φερουφίνος φιλέλλην καὶ φιλολογος (sic) ἰδία χειρὶ ἔγραψεν (f. 107v); est Benedicti καὶ τὄν φίλὄν (sic) (f. 117r); ἀδελφὸς Ἰωάννης ὁ πλακεντῖνος καρμελίτης, φίλτατος τοῦ κυρίου Φιλίππου τοῦ Φερουφίνου (f. 123v). Queste indicazioni lasciano supporre che il codice sia stato donato da Feruffini a Crastone, copisti della terza unità. Lascari, invece, vergò interamente il f. 118r nella seconda unità, trascrivendo i primi 17 versi dello Scudo di Esiodo.
La riunificazione delle tre unità sembra dunque avvenuta su base tematica: tutte trasmettono testi poetici, e condividono una certa affinità nella scelta e nella presentazione dei contenuti.