Ambr. C 222 inf. (gr. 886) [diktyon 42485]
Descrizione materiale. Il manoscritto Ambr. C. 222 inf. è un imponente codice su carta orientale, con carta occidentale presente solo nei restauri d’età umanistica. Carlo Maria Mazzucchi (2003, 268) lo ha definito una «grandiosa silloge di poesia extra-omerica: tragica, comica, giambico-drammatica; lirica, esametrica, didascalica e bucolica». Il volume si apre e si chiude con due fogli di guardia moderni, aggiunti durante il restauro novecentesco (ff. [A]-[B] e [C]-[D]); in apertura conserva anche alcuni fogli di guardia più antichi, risalenti al restauro umanistico (ff. [a], I-II). Il corpo del codice è formato da 363 carte, numerate a matita nel margine superiore dei fogli recto e verso (1-6, 36bis, 37-362). Le dimensioni attuali del manoscritto sono di 345 × 260 mm.
Questo codice riveste un’importanza particolare sia come testimone testuale sia come documento del suo ambiente culturale. Innanzitutto, esso è un testimone primario di autori come Eschilo, Aristofane, Licofrone, Esiodo (Scudo e Le opere e Giorni), Pindaro (Olimpiche), Oppiano, Dionigi il Periegeta e Teocrito, corredati dalle rispettive esegesi. Accanto ai testi principali, il volume conserva anche una trentina di fogli riempiti con estratti e brani di diversa provenienza: spazi lasciati intenzionalmente in bianco al momento della copia, probabilmente per marcare la separazione tra un’opera e l’altra o per accogliere note, glosse e aggiunte successive. Questo tratto mostra come il codice fosse concepito non soltanto come un’antologia poetica, ma anche come uno strumento di lavoro e di studio personale.
Dall’altro lato, il manoscritto testimonia un preciso contesto culturale. Il codice è il frutto della collaborazione di due mani coeve: quella principale, responsabile della raccolta e forse identificabile con un certo Konstantinos (secondo una nota al f. 362v: τοῦ Κ(ω)ν(σταν)τ(ί)ν(ου)), dotto possessore del codice; e quella di uno scriba professionista, rimasto anonimo, attivo in alcune sezioni (ff. 48r-80v, 82r-91v, 339v-362v). La copia fu realizzata a Costantinopoli verso la fine del XII secolo (ca. 1180-1186), in un ambiente molto vicino a Johannes Tzetzes. Infatti, come ha più volte sottolineato Mazzucchi, il copista principale non era un semplice copista: originario di Costantinopoli, fu un indefesso scolaro e allievo di Johannes Tzetzes e di Johannes Camatero. Laico, apparteneva a un ambiente vicino alla cancelleria imperiale e frequentava probabilmente la scuola superiore legata alla chiesa dei Santi Apostoli, nelle vicinanze del monastero del Pantokrator, dove Tzetzes risiedeva.
Oggi il volume presenta una legatura in cuoio verde realizzata a Grottaferrata nel 1961, che ha sostituito la precedente copertura, probabilmente quattrocentesca, descritta nel catalogo di Martini ― Bassi (1906, 990) come «tabellis ligneis corio, nunc partim, tectis compactus».
Contenuto. Il manoscritto Ambrosiano è una ricca silloge di poesia greca extra-omerica, che spazia dai generi poetici drammatici e lirici fino alla poesia didascalica (cfr. contenuto dettagliato per alcuni estratti e brani aggiunti nei fogli rimasti bianchi). Il volume si apre con i Sette contro Tebe di Eschilo, anche se è mutilo all’inizio: undici fascicoli risultano infatti perduti. Considerando la struttura complessiva del manoscritto e confrontandola con altri codici analoghi, è molto probabile che nelle pagine mancanti fossero trascritte le tre tragedie Agamennone, Eumenidi e Prometeo. In questa prospettiva, l’Ambrosiano rappresenterebbe un prezioso testimone della cosiddetta “pentade” eschilea (Prometeo, Sette a Tebe, Persiani, Agamennone, Eumenidi), raccolta documentata anche in altri manoscritti copiati nella prima metà del Trecento, come il Laur. 31.8 [diktyon 16239], il Neapolit. II F 31 [diktyon 46199] e il Marc. gr. Z. 616 (coll. 663) [diktyon 70087], sebbene con una successione diversa delle tragedie.
Dopo i Sette contro Tebe (ff. 1r-12v) e i Persiani di Eschilo (ff. 20r-39v), seguono il Pluto (ff. 45r-61r) le Nuvole (ff. 61v-78v) e le Rane (ff. 82r-105v) di Aristofane; segue l’Alessandra di Licofrone (ff. 110r-175v). Il manoscritto prosegue con una sezione esiodea, comprendente lo Scudo (ff. 176r-180r) e le Opere e giorni (ff. 222v-252v), infrapposta alle Olimpiche di Pindaro (ff. 181v-206v). Chiudono il volume gli Halieutica di Oppiano (ff. 258v-298v), l’Orbis Descriptio di Dionigi il Periegeta (ff. 300r-339v), e gli Idilli di Teocrito (ff. 340r-360v) secondo la tradizione della famiglia Ambrosiana, con apparato scoliastico e glosse interlineari, seguiti da una breve selezione di epigrammi (ff. 360v-362r).
Storia del manoscritto. La storia più antica dell’Ambr. C 222 inf. resta sconosciuta. È noto però che il manoscritto fu realizzato a Costantinopoli e che probabilmente si trovava ancora in Oriente negli anni Venti del Quattrocento. In questa occasione un instaurator, con ogni probabilità per agevolare il lavoro di un legatore occidentale, rinumerò i fogli del codice con un ingegnoso sistema di rimandi, così da garantire il corretto ordine delle carte una volta sciolto il volume (sul sistema cfr. Bianconi 2018, 90). A lui si devono anche l’inserimento dei fogli di guardia con il pinax (cioè l’indice) dell’intero manoscritto, vergato in inchiostro carminio (al f. IIr), e i primi due fogli (ai ff. 1r-2v) con la parziale integrazione del testo mancante dei Sette a Tebe di Eschilo, opera con cui il codice oggi si apre. Questo anonimo instaurator è stato identificato con lo scriba noto come “Anonimo 11 Harlfinger”, che studi recenti hanno riconosciuto nel μάγιστρος Johannes Kanaboutzes – storico e grammatico noto per il suo commento a Dionigi di Alicarnasso, allievo del teologo bizantino Georgios Scholarios (1405-ca. 1473), e menzionato anche nell’epistolario dell’umanista Ciriaco d’Ancona (1391-1452) (cfr. Giacomelli ― Maksimczuk 2023, e Giacomelli 2024).
Circa quarant’anni dopo l’intervento di Kanaboutzes, quindi ormai dopo la caduta di Costantinopoli (1453), il manoscritto ambrosiano passò nelle mani di uno studioso legato ai Genovesi di Pera, Lesbo e Focea: ne è testimonianza il fatto che il copista responsabile della trascrizione del codex unicus della Historia Turco-byzantina di Michael Doukas, il Par. gr. 1310 [diktyon 50919] – una ricchissima miscellanea in cui il testo delle Opere e Giorni di Esiodo è copiato direttamente dall’Ambr. C 222 inf. – ebbe certamente accesso al codice ambrosiano. Secondo un’ipotesi recente (Giacomelli 2024), questo copista potrebbe essere identificato con l’autore dell’opera, Michael Doukas. Diversamente da quanto sostenuto da Carlo Maria Mazzucchi, che collocava l’attività del “copista di Doukas” presso il convento di San Domenico a Pera-Constantinopoli, Ciro Giacomelli ha raccolto una serie di elementi che attestano con certezza il suo legame con la cultura grecofona delle colonie genovesi. In questo modo si può superare anche l’ipotesi, pur plausibile, che in quei territori periferici mancassero completamente codici di testi classici e bizantini. Si può dunque ritenere con maggiore sicurezza che l’Ambr. C 222 inf., insieme a un considerevole numero di manoscritti consultati da Doukas, fosse conservato proprio nelle colonie genovesi dell’Egeo, tra Focea e Lesbo.
Non molto tempo dopo, il codice giunse in Italia, ma resta incerto se attraverso Venezia o Genova. Secondo l’ipotesi di Mazzucchi (2007), potrebbe aver seguito la via genovese: un indizio proviene dal Par. gr. 2678 [diktyon 52314], copia dell’Ambr. C 222 inf. (per la sezione dello Scudo) realizzata su carte prodotte nell’area di Pavia e Milano tra la fine degli anni Sessanta e i primi Settanta del Quattrocento. Poiché Pera – dove, secondo Mazzucchi, il codice poteva trovarsi – era sotto l’influenza genovese, si può immaginare che il manoscritto abbia viaggiato da lì a Chio, quindi a Genova, e infine sia approdato in Lombardia attraverso i canali del mercato librario che collegavano l’ateneo pavese con la città marinara. Un’altra ipotesi, desumibile da quanto scritto da Giacomelli ― Maksimczuk (2023), propende invece per la via veneziana. Anche in questo caso, gli indizi provengono da copie del codice realizzate in territorio veneziano, come l’Ambr. L 38 sup. [diktyon 42948] (per la sezione di Oppiano), restaurato dallo stesso Johannes Kanaboutzes e appartenuto alla biblioteca del patrizio padovano Giovanni Battista da Lion (m. 1528), o l’Ambr. A 155 sup. (gr. 52) [diktyon 42242], vergato a Venezia da Georgios Tribizias (1423-1485).
Come testimonia una postilla autografa, una volta giunto nel Nord d’Italia l’Ambr. C 222 inf. passò in possesso di Giorgio Merula (m. 1494), storico di Ludovico il Moro (1452-1508). Entrato nella sua biblioteca, il codice fu da lui fatto rilegare, anche se la sua legatura non è più conservata a causa del restauro eseguito a Grottaferrata nel secolo scorso. Alla morte di Merula, la sua biblioteca greca passò a Bartolomeo Calco (1434-1508), quindi al figlio Girolamo, e infine al Collegio dei Calchi, come testimonia una nota seicentesca vergata al f. av «fuit ex libris Georgii Merulae et Collegii Chalcorum».
Bibliografia (selezione). Studemund 1886, 211-256 (per l’edizione degli opuscoli metrici ai ff. 78v-80v); Martini ― Bassi 1906, II, 984-990 nr. 886 (per una descrizione del codice); Wendel 1914, X, XIII (sugli scolii a Teocrito; siglum K); Gallavotti 1940 (sulla identificazione della “famiglia Perugina” e il rapporto con il codice ambrosiano); Irigoin 1952; Irigoin 1958; Russo 1965, 39-40 (siglum D); Ferrari 1970, 158 n. 1 (per la postilla autografa di Giorgio Merula); Magdalino 1984, 233 n. 20 (sulla presenza del Λόγος παραινετικός nel codice); Palmieri 1988, 235-236 (per l’edizione De aetatum cognitione; siglum A); Mund-Dopchie 1992, 323 n. 7 (per un refuso codice indicato con la segnatura errata “C 22 inf.”); Gallavotti 19933 (per l’edizione degli Idilli di Teocrito; siglum K); Corrales Pérez 1994 (per lo studio della tradizione testuale dello Scudo esiodeo); Pérez Martín 1996, 80-82, 108, 113, 125 (sulla “famiglia Ambrosiana” alla quale il codice ambrosiano appartiene per la sezione di Teocrito, e per la tradizione delle Rane di Aristofane e di Oppiano); Agati 2002, 312 (sul nesso epsilon-iota, peculiare della mano principale del codice); Berra 2000, 269 (per una prima associazione della scrittura del codice al tardo XII secolo); Mazzucchi 2000, 203-205 (per l’analisi paleografica del nesso epsilon-iota, peculiare della mano principale del codice); Martano 2002 (per uno studio del codice in relazione agli scholia e alle glossae allo Scudo esiodeo ai ff. 176r-180r, e loro edizione); Kotzabassi 2003, 680 n. 4 (sull’identità del cosiddetto “copista di Doukas”); Mazzucchi 2003, 411-440 (per un esame codicologico e contenutistico del codice); Cavarra 2004 (su una annotazione di contenuto medico trasmesse al f. 40r); Mazzucchi 2004, 263-275 (sull’identità del copista principale e possessore del codice); Villani 2004 (per l’edizione del lessico polisemantico tramandato ai ff. 210v-212r); Mazzucchi 2005 (per alcune ricette di inchiostro nel codice ai ff. 105v, 218r); Mazzucchi 2007, 419-431 (per la storia umanistica del codice); Pérez Martín 2006, 448; Pasini 2007, 339-340; Villani 2007 (per l’edizione del lessico etimologico tramandato al f. 209v); Gow 20082; Bianconi 2010, 91 (sull’aspetto paleografico del codice rispetto ad altri testimoni del tardo XII secolo); Marcotte 2010, 643 n. 11, 644-645, 650 n. 43; Martinelli Tempesta 2010, 179 n. 33, 180 nn. 37 e 40 (breve menzione relativa al rapporto stemmatico tra il codice ambrosiano e l’Ambr. B 75 sup.; siglum K); Mazzucchi 2010, 134-135; Pontani 2011, 250 n. 564; Schreiner, Oltrogge 2011; Villani 2011 (per lo studio del Lexicon Ἀντίχειρ ai ff. 207r-208v); Bianchi 2012 (per uno studio della colometria della II Olimpica di Pindaro); Galán Vioque 2012, 298 (su Isaac Vossius e i Technopaegnia); Mazzucchi 2012, 427 n. 61 (per l’identificazione della mano principale con l’estensore del documento Patmos II, nr. 56, datato al 1195); Delle Donne 2013, 52 n. 50, 54 (sul Tractatus Ambrosianus e sul Tractatus Chisianus trasmessi dal codice); Mazzucchi 2013, 259 n. 1; Speranzi 2013, 162 n. 62; Benedetti 2014 (per l’edizione delle tre ricette di inchiostro conservate al f. 218v); Ferreri 2014, 51 e n. 100; Giannachi 2014, 100; Villani 2014 (per l’edizione del Lexicon Ἀντίχειρ ai ff. 207r-208v); Cariou 2014, 309 (per la presenza del nome di Giovanni Tzetzes negli scholia agli Halieutika di Oppiano tramandati dal codice); Cariou 2015a (sullo studio dell’Epitome di Aristofane di Bisanzio inserita negli scholia agli Halieutika di Oppiano al f. 258r); Cariou 2015b, 243, 256; Martinelli Tempesta 2015, 429 n. 21 (sulle legature di Giorgio Merula); Speranzi 2015, 291 n. 1 (sul restauro quattrocentesco); Giacomelli 2016, 99 nn. 215 e 217, 100 e n. 221 (specialmente sulla relazione del codice con l’Ambr. L 38 sup.); Martinelli Tempesta 2016, 237 n. 30 (sulla tipologia di carta adoperata per l’Ambr. B 7 inf. (gr. 837) simile a quella dell’Ambr. C 222 inf.); Martínez Manzano 2016, 379 e n. 58 (per il legame del codice con Giorgio Merula); Vendruscolo 2016, 180, 182 (sugli apografi di Giorgio Trivizia e la cosiddetta ‘familia Perusina’ dei Carmina figurata); Fries 2017, 748 (sulla tradizione testuale di Pindaro; siglum A); Mastronarde 2017, 78, 85 n. 65, 86, 205 n. 18; Bianconi 2018, 90 (sul restauro quattrocentesco subito dal codice); Wilson 2018, I-II (per la nuova edizione delle commedie di Aristofane; siglum K); Giacomelli 2019, 367, 397 (sul legame del codice con la famiglia veneta dei Macigni); Giacomelli ― Speranzi 2019, 136 (elenco dei codici postillati dall’Anonimo 11 Harlfinger); González Torroba 2019, 94 (siglum K, per il testo delle Rane; ma il codice è datato al secolo XIII); Mazzucchi 2019, 443 n. 10, 444; Muttini 2019a (sulla recensio Tzetziana del testo delle Rane trasmesse nel codice; siglum K); Cuomo 2020, 416 n. 67; Giacomelli 2020, 116 n. 50 (sull’Anonimo 11 Harlfinger); Lehnus ― Frazer 2020, 363 (sulla visita di Wilamowitz in Ambrosiana e la sua edizione teocritea); Mazzucchi 2020, 294 n. 22; Sandri 2020, 67, 116, 179, 191-193 (per lo studio della tradizione e per l’edizione del cosiddetto Trattato [9] Περὶ σολοικισμοῦ; siglum λ); Ucciardello 2020, 617 (per una breve menzione del copista principale del codice, Costantino); Vendruscolo 2020, 72 (sugli apografi di Giorgio Trivizia e la cosiddetta ‘familia Perusina’ dei carmina figurata); Fincati 2021, 238 n. 8, 288 (per considerazioni attorno a Giovanni Camatero); Giacomelli 2021a, 332 n. 90; Giacomelli 2021b; Bianchi 2022, 100-101 (sulle possibili modalità di lavoro di Tzetzes sulla base della testimonianza fornita dal codice); Braccini 2022 (per i versi 1-147 dell’opera tzetziana Historiarum variarum chiliades trasmessi dal codice al f. 13rv; siglum A); Nuovo 2022, 427, 429; Zorzi ― Giacomelli 2022, 149; Giacomelli ― Maksimczuk 2023, 79, 90, 93 n. 64, 111-113 (per l’identificazione dell’Anonimo 11 Harlfinger con Joannes Kanabutzes, responsabile del restauro quattrocentesco del codice ambrosiano); Orlandi 2023, 227 (per l’ipotesi che il codice sia stato adoperato da Andronico Callisto in relazione alla sezione di Teocrito); Agati 2024, 68 (per una menzione sulla disposizione del materiale paratestuale nel codice); Nesseris 2024, 319 n. 8; Martinelli Tempesta 2024; Pizzone 2024 (per l’edizione di alcuni versi attribuiti a Johannes Tzetzes); Nuovo 2024 (per l’edizione del trattato De soloecismo et barbarismo trasmesso al f. 212v del codice).