La famiglia Vaticana nella tradizione degli Idilli di Teocrito
Il manoscritto Ambr. G 32 sup., identificato dal siglum A, appartiene alla cosiddetta “famiglia Vaticana” (siglum Va), una delle tre principali linee di trasmissione della tradizione testuale di Teocrito, accanto alla famiglia Ambrosiana e a quella Laurenziana. Tale classificazione riguarda in primo luogo il testo poetico degli Idilli, secondo la ricostruzione di Gallavotti (1993, pp. 299-300), ma si riflette, con modalità autonome, anche nella trasmissione dell’apparato scoliastico, come illustrato da Wendel (1914, pp. x, xii, xx).
Conosciuta anche con il nome di series Vaticana, questa famiglia include manoscritti che tramandano i primi diciotto Idilli di Teocrito; l’archetipo da cui derivano potrebbe risalire al secolo XI. I codici che ne fanno parte sono i seguenti:
- A = Ambr. G 32 sup. [diktyon 42807]
- E = Vat. gr. 42 [diktyon 66673]
- G = Laur. 32.52 [diktyon 16316]
- I = Vat. gr. 44 [diktyon 66675]
- L = Par. gr. 2831 [diktyon 52469]
- N = Ath. Iber. 161 [diktyon 23758]
- S = Laur. 32.16 [diktyon 16280]
- T = Vat. gr. 38 [diktyon 66669]
- U = Vat. gr. 1825 [diktyon 68454]
All’interno della famiglia Vaticana, l’Ambrosiano G 32 sup. si distingue come testimone di particolare rilievo per la trasmissione degli Idilli, e presenta una stretta affinità testuale con i manoscritti E (Vat. gr. 42) e I (Vat. gr. 44) della tradizione. Caratterizzato da un buon grado di coerenza interna e da una limitata contaminazione, il codice si configura come un punto di riferimento fondamentale per la ricostruzione della tradizione teocritea ed è stato selezionato come testimone principale del gruppo AEI nell’apparato critico dell’edizione di Gallavotti (1993).
Per quanto riguarda l’apparato degli scholia, secondo gli studi condotti da Wendel, il manoscritto Ambrosiano si distingue per la ricchezza e la completezza del materiale trasmesso, risultando affine soprattutto ai codici E (Vat. gr. 42) e T (Vat. gr. 38). In base allo stemma codicum proposto dallo studioso, questi tre testimoni si collocano all’interno di un sottogruppo della famiglia Vaticana, accomunati dalla trasmissione di una porzione ampia e coerente degli scholia vetera, ordinata secondo un modello riconducibile a un iparchetipo comune. Differenze significative emergono nel trattamento delle glosse interlineari, che nel codice Ambrosiano si presentano meno uniformi rispetto agli scholia marginali e mostrano tracce evidenti di rielaborazione autonoma: infatti, una parte di esse, vergate dal copista principale in inchiostro carminio, generalmente di tipo parafrastico e finalizzate a facilitare la comprensione del testo poetico, appare come una parziale riformulazione degli scholia vetera. Altre glosse, invece, vergate per lo più in inchiostro ocra da un lettore avventizio, coevo al copista principale o lievemente posteriore, non trovano riscontro negli altri manoscritti del sottogruppo e sarebbero esclusive di A, configurandosi come annotazioni originali, forse legate a un contesto erudito specifico o a una pratica di lettura in epoca Paleologa.
Dunque, pur condividendo un nucleo testuale comune riconducibile a un iparchetipo della famiglia Vaticana, tutti i manoscritti del gruppo – incluso l’Ambrosiano – presentano glosse recenziori non direttamente derivabili dal modello, che ne differenziano la trasmissione e documentano diversi livelli di intervento esegetico. In questo contesto, l’Ambrosiano si segnala per la ricchezza e la varietà delle sue glosse, che ne fanno un testimone prezioso per ricostruire i processi di ricezione, adattamento e aggiornamento dell’apparato scoliastico in età tardo-bizantina.
Scholia vetera e recentiora nella tradizione degli Idilli teocritei
Gli scholia vetera a Teocrito costituiscono una testimonianza stratificata e imponente della tradizione esegetica antica. La loro origine va ricondotta a un complesso processo di accumulo e rielaborazione, confluito in un commentario composito che unisce almeno due filoni interpretativi principali. Il primo risale all’età augustea e viene generalmente attribuito al grammatico Teone (I sec. a.C.), con l’inclusione di materiali elaborati da Asclepiade di Mirlea (I sec. a.C.). A questa tradizione risalgono gran parte delle glosse conservate, nonché i prolegomena e le hypotheseis introduttive ai singoli Idilli. Accanto a questo nucleo di impianto più “filologico” si affianca una seconda tradizione esegetica, legata a Munazio di Tralle (II sec. d.C.), autore di un commentario di taglio più descrittivo e parafrastico, incentrato soprattutto sull’identificazione dei personaggi e sulla spiegazione elementare del contenuto. A questi due nuclei fondamentali si aggiunsero successivamente le osservazioni di altri commentatori del II secolo, come Teeteto e Amaranto, e si ritiene possibile che proprio Teeteto abbia curato una prima sistematizzazione dell’intero apparato. Nel corso dei secoli successivi – tra IV e VI secolo – il materiale subì ulteriori interventi, ma non vennero aggiunti contenuti sostanzialmente nuovi: l’assenza di riferimenti a studiosi posteriori al II secolo all’interno degli scholia noti suggerisce che la loro fisionomia fondamentale fosse ormai definita già in età imperiale.
La tradizione diretta che ci è giunta rappresenta una versione fortemente abbreviata di questi antichi commentari, che tuttavia continuarono a circolare e a influenzare indirettamente numerosi autori. Testimonianze di questa tradizione indiretta si trovano, ad esempio, negli scritti di Esichio di Alessandria (V sec.?), e in quelli di Eustazio di Tessalonica (XII sec.), in alcuni repertori etimologici, ma soprattutto negli scholia virgiliani, che evidenziano una conoscenza non superficiale della poesia teocritea attraverso la lente dell’antica esegesi.
Ben distinti dagli scholia vetera sono gli scholia recentiora, prodotti in ambiente bizantino e distinguibili per stile e contenuto. Se dal punto di vista filologico essi non apportano elementi nuovi, costituiscono però una fonte preziosa per lo studio della ricezione e della prassi esegetica in età tardo-bizantina. Tra gli autori più rappresentativi figurano Manuele Moscopulo (ca. 1262-1316) e Massimo Planude (ca. 1260-1310), ai quali si affiancano frammenti di un commentario più antico di Giovanni Tzetzes (XII sec.) e annotazioni attribuite a Demetrio Triclinio (ca. 1283-ca. 1340).