Datazione e origine
Il manufatto è opera di un unico scriba: la scrittura e l’ornamentazione indirizzano verso una localizzazione abbastanza precisa, la Terra d’Otranto nella seconda metà del XIII secolo. Il codice, infatti, è vergato da una sola mano che esibisce caratteristiche perfettamente inscrivibili nella ‘moda’ grafica del cosiddetto Barocco salentino o stile «classico» (Jacob 1977): leggermente inclinata a destra, sciolta e corsiva, con notevoli contrasto di modulo. Tra le morfologie peculiari si noti la forma di alpha e di beta maiuscoli, theta schiacciato con tratto orizzontale leggermente ondulato, my maiuscolo, la forma di csi, tau alto con tratto orizzontale corto e ondulato, omega aperto legato con l’accento, la legatura epsilon-rho ad ‘asso di picche’ con il nucleo della seconda lettera schiacciato.
L’anonimo scriba, noto alla comunità scientifica come «Anonimo 8» (Arnesano 2005; Arnesano 2008, 124), vergò, allo stato attuale delle nostre conoscenze, altri tre manoscritti: il Par. Coisl. 190 (Niceta di Eraclea); il Par. gr. 2773 (Esiodo con scolii, in collaborazione con altri due amanuensi che si avvicendano a ‘rotazione’ nel lavoro di copia); il Marc. gr. 257 (sezione finale, commenti ad Aristotele).
Descrizione interna
Il testo di ogni canto dell’Iliade e la parafrasi pseudo-pselliana sono disposti di fianco su due colonne di 28 righe, preceduti dalle relative ὑποθέσεις scritte a piena pagina, e seguiti dagli scolii, vergati in modulo minore a piena pagina; altro materiale esegetico di prima mano è disposto nei margini del testo iliadico, o supra lineam di testo o parafrasi, raramente nell’intercolumnio. Il sistema di richiamo tra testo e scolii à recueil è costituito da cifre greche, apposte ai margini del testo di Omero e di quello degli scolii corrispondenti, con numerazione progressiva continua per ogni canto. I margini superiore e inferiore misurano rispettivamente circa 25 mm e 40 mm; più irregolari i margini interni e soprattutto quelli esterni in corrispondenza della parafrasi: quello interno oscilla tra 30/40 mm, quello esterno 40/50 mm; l’intercolumnio misura circa 10 mm. Tutti i margini originari tuttavia furono parzialmente mutilati dalla rifilatura, effettuata verosimilmente nel corso del XIV secolo quando il codice fu largamente annotato in Oriente.
Il codice è fascicolato per quaternioni, numerati in cifre greche nell’angolo superiore esterno con inchiostro marrone, probabilmente ad opera del copista principale, e nell’angolo inferiore interno del primo foglio recto, con inchiostro fulvo (Sciarra 2005, 15). Per quanto concerne l’attuale disposizione e contenuto dei primi fogli, si segnala che, in seguito a vari accidenti, gli scolii al primo libro sono attualmente rilegati prima del canto corrispondente (2r-5v), assetto che non coincide con la fisionomia originaria del manoscritto, nel quale erano disposti, come nel resto del codice, di seguito al libro omerico corrispondente; inoltre l’attuale f. 3 è rilegato al contrario, alterazione che era già presente quando il manoscritto entrò in Biblioteca Ambrosiana (Pascale 2025, c.s.)
Anche la tavolozza cromatica e il vocabolario ornamentale sono coerenti con la collocazione cronologica e geografica del codice: fasce policrome, in un caso a forma di pyle (f. 207v, inizio del canto 16), precedono la ὑπόθεσις di ciascun canto, in cui si alternano disegni nastriformi o rinceaux, caratterizzati da una spiccata vivacità dei colori, azzurro, giallo, rosso, verde dalle tonalità brillanti. Tutte le lettere distintiva, anche nella sezione degli scolii, sono tracciate o campite col colore, e gli stessi titoli di ciascun canto sono sempre vergati con inchiostri colorati, spesso con lettere tracciate ciascuna con un colore diverso (vd., e. g. f. 61r). Tra gli esemplari coevi prodotti nella medesima area geografica si può citare a mo’ di confronto la prima sezione del ms. Roma, Vallicelliano C 7 (ff. 1-129: Durante 2008, 285). Anche i motivi fitomorfi e geometrici che delineano gran parte dei fregi sono analoghi a quelli di altri manoscritti coevi prodotti nella stessa area: tuttavia il decoratore del nostro manoscritto, probabilmente lo stesso copista, non usa quasi mai la tecnica en réserve per delineare le figure, frequente negli altri manufatti (Hoffmann 1984, 628 e passim; Durante 2005, 286 e passim), ma campisce pressoché tutti gli spazi dell’ornamentazione. Si segnalano fregi fitomorfi con volute vegetali simili, per esempio, a quelli che si possono osservare nel Par. gr. 2572 (fine XIII secolo), o nel sullodato Vallicelliano C 7. Inoltre, all’estremità di gran parte dei segmenti che inquadrano le testate furono spesso tracciati esuberanti motivi fogliacei, i «fronzuti caulicoli», secondo la definizione di André Jacob (e.g. ff. 102v, 127v, 180r; cfr. Jacob 2001, 48; Durante 2005, 287). Di un certo interesse anche l’ornamentazione zoomorfa: a f. 127v il fregio di destra che introduce gli scolii al canto 10 è avvolto dalle spire policrome di un serpente; il f. 167r è introdotto da una coppia di pavoni affrontati dalle code variopinte e dal corpo puntinato con l’inchiostro del testo. Inoltre il repertorio iconografico che caratterizza l’Initialornamentik esibisce alcuni disegni zoomorfi dal gusto teratologico: tra i più interessanti segnalo gli alpha iniziali dei ff. 17r, 38v, 269v abitati da un serpente dalla testa leonina che cinge un pavone, disegnati con analoga struttura compositiva, ma ibridati con motivi geometrici e fitomorfi differenti e campiti di colori diversi; al f. 129r un alpha composto da due pavoni ieraticamente affrontati.